sabato 6 gennaio 2018

TRADIZIONE E CIBO - SATTVA, ALIMENTARE L'ARMONIA



"Di tutte le regole ascetiche, quella relativa all'assumere cibo sattvico in quantità moderate è la migliore; osservando questa regola la qualità sattvica della mente aumenta e questo aiuterà l'auto-osservazione"*.
Questa nobile citazione mi perpette di introdurre un nuovo capitolo dedicato all'alimentazione tradizionale indù. Premesso che sattva è uno dei guna (attributi principiali della sostanza universale dalla cui commistione traggono origine le caratteristiche psichiche e corporee dell'essere), occorre non scordare mai, quando si considera il nutrimento secondo la prospettiva tradizionale, che siccome si diviene effettivamente quello che si mangia (e si pensa) certi cibi favoriscono delle tendenze piuttosto che altre, quindi non è casuale che vengano accolti con favore o rifiutati, a seconda che elivino o mortifichino le possibilità spirituali dell'uomo e ciò a prescindere da considerazioni su "proprietà nutrizionali", da valutazioni "scientifiche", sociali e commerciali. Prendiamone ad esempio alcuni che oggi sono molto diffusi.

*(Sri Ramanarpanam Astu)


Vino e bevande inebrianti

Vino, madya; bevande inebrianti, madira: è fatto divieto, anche in stato di necessità, di vendere vino (Manu IX,235). Bere liquore è considerato un grande crimine così come frequentare chi lo fa (Manu XI,55), per gli [iniziati] appartenenti alle tre classi dei nati due volte, ingerire anche involontariamente qualche cosa toccato da un liquore comporta il sottoporsi nuovamente al rituale della trasformazione [iniziazione] (Manu XI, 151).
Il rifiuto delle bevande alcoliche risponde alla duplice esigenza di non consentire che lo stato di ebbrezza sottragga all’uomo il controllo del suo corpo e a quella di non violare l’ahimsa (non violenza), infatti il processo di fermentazione inevitabilmente causa la morte di esseri animati e ciò costituisce una rottura dell’equilibrio che consente all’uomo di essere in armonia col creato.

Carne

La cucina indù non prevede l’uso della carne, ma ciò non di meno se ne può mangiare se la sua provenienza è il sacrificio, quindi a rigore non si può dire che sia una dieta rigorosamente vegetariana; ad esempio il rituale mensile per gli antenati prevede l’utilizzo di polpette fatte con la carne raccomandata. Ma nelle Leggi di Manu si legge che “non esiste malfattore peggiore della persona che, senza riverire gli dei e gli antenati, desidera far crescere la propria carne con la carne altrui” (V, 52).
La carne dunque che ha una indubbia rilevanza rituale, proprio per questo va usata con cautela perché fuori dall’ambito sacrificale è un viatico di passione e ignoranza e testimonia del decadimento dell’uomo dalla condizione originaria di armonia cosmica, quella che con parole occidentali si può definire edenica.

Latte e burro

“Il saggio che è libero da ogni passione, conosce la felicità trascendentale dell'Atman anche incarnato, in cui la parola si ritira nella mente senza esprimersi esternamente (25). Questa felicità estatica non e altro che l'Atman-Brahman che pervade l'intero universo, come il burro pervade il latte (26). Cosi termina la Brahma Upanishad, la suprema saggezza del Brahman, nella forma dell'unita dell'Atman in tutti, fondata sulla disciplina spirituale (tapas) che consiste nella conoscenza (vidya), la scienza dell'Atman”.

Dopo aver studiato i Veda, la persona intelligente che desidera soltanto acquisire la conoscenza e la realizzazione deve lasciare i Veda stessi, come chi vuole ottenere il riso deve eliminare la crusca (18). Anche se le mucche hanno colore diverso, il latte e sempre dello stesso colore. La persona intelligente comprende che la conoscenza e come il latte e le diverse ramificazioni della conoscenza vedica sono come diverse mucche (19). Come il burro che è nascosto nel latte, la pura Consapevolezza si trova in ogni essere vivente. Deve essere costantemente frullata nella zangola della mente (20).
[Amrita bindu Upanishad]

La Sandilya Upanishad asserisce che “la dieta migliore per questa pratica è basata su alimenti con latte e burro chiarificato, che aiutano ad evitare l'eccesso di calore nel corpo (1.22). Come si possono domare gradualmente leoni, tigri ed elefanti, cosi si può domare anche il respiro, che altrimenti ucciderebbe lo Yogi (1.23)”.

Inoltre come si vede da questo menù contenuto nella Yoga tattva Upanishad Lo Yogi deve evitare accuratamente i cibi inadatti alla sua pratica: sale e spezie (specialmente la senape), le verdure amare, gli alimenti acidi, piccanti e pungenti come aglio e cipolla. I cibi consigliati sono a base di latte e burro chiarificato, frumento, soia verde e riso. Deve evitare di digiunare, fare il bagno al tramonto, frequentare la compagnia di donne e compiere rituali del fuoco. Seguendo queste regole diventerà capace di trattenere il respiro molto a lungo (46-49).

In questi come in altri passaggi dei testi sacri indù si fa riferimento allo Yogi (il Realizzato, colui che è pervenuto all'Unione col Sé), alla casta dei Brahmani (i Sacerdoti), insomma a coloro che occupano i posti più elevati nell'organizzazione sociale indù e dunque ambiscono alla Liberazione e alla realizzazione della pienezza dello stato umano, quindi si potrebbe dire che queste indicazioni sono per loro, per questa esigua minoranza. Eppure se consideriamo la nostra semenza, tutti, anche solo per una sparuta scintilla che rifulge nel profondo di ogni essere, possono concordare con Dante sul fatto che  fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Consumare dunque il latte che in sé porta il burro e si trasforma in esso ad immagine dell'Essere Supremo che nella sua continua attività creatrice si trasforma negli esseri contingenti, sembra proprio preferibile al consumo di bevande inebrianti che esaltano viceversa aspetti inferi e alimentano le passioni. Così come consumare riso è sicuramente meglio che "espandersi" nella manifestazione, come comporta l'uso della carne, perché interrompere il flusso delle trasmigrazioni da una forma all'altra è lo scopo dell'uomo che sa che in ogni caso deve fare ritorno al suo Principio. 
Si può constatare così che sono molto differenti le regole che dettano i menù, a seconda dei fini che attraverso questi ci si propone di raggiungere.
 

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